Investigatore privato_Nessun reato per il marito che usa le mail della moglie in tribunale

Per la Cassazione, l’intercettazione delle email della moglie con un programma installato per controllare la figlia e la loro produzione in giudizio non costituiscono reato

 

La Cassazione con la sentenza n. 30735/2020 esclude la configurazione dei reati di cui agli articoli 616 c.p. commi 1 e 4, 617 bis c.p e 617 quater c.p., di cui è stato accusato un marito che ha usato kaylogger, installato anni prima per controllare la figlia, per intercettare la corrispondenza elettronica della moglie e produrla poi nel giudizio di separazione.

Il primo reato infatti si applica alla corrispondenza statica e gli altri due richiedono che l’intercettazione avvenga all’insaputa del soggetto, ipotesi da escludere nel caso di specie, visto che marito e moglie si erano accordati da tempo per l’installazione del programma per controllare la figlia.

La Cassazione ha quindi ribaltato la decisione dei giudici di merito, che di comune accordo avevano condannato l’imputato in primo e secondo grado, per i seguenti reati:

  • violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza ai sensi dell’art 616 c.p. commi 1 e 4 che così dispongono: 1. Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. 4. Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per “corrispondenza” si intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza”;
  •  installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche, contemplato dall’art. 617 bis c.p. che punisce “Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni”;
  • intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche ai sensi dell’art. 617-quater c.p che punisce “Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.”

L’imputato è stato infatti accusato di aver installato un programma, con il quale è riuscito fraudolentemente a intercettare messaggi, foto e email inviate alla moglie e di aver utilizzato le comunicazioni email in particolare nel giudizio di separazione.

 

Kaylogger installato per controllare la figlia

Il marito contesta la decisione di condanna della Corte di Appello e ricorre quindi in Cassazione sollevando 5 motivi di doglianza, dei quali appaiono particolarmente rilevanti i primi tre.

Con il primo lamenta la mancata applicazione, in relazione al reato di violazione della corrispondenza, della causa di giustificazione contemplata dall’art. 51 c.p. perché commesso per l’esigenza di difendersi nella causa di separazione, invocando a tale riguardo il GDPR, che “prevede che il divieto di trattamento dei dati personali stabilito dell’art. 9, par. 1, dello stesso regolamento non si applichi ove il trattamento sia necessario per accertare, esercitare, difendere un diritto in sede giudiziaria.”

Con il secondo lamenta la sussistenza dei reati di cui all’art. 616 c.p.p. commi 1 e 4, artt. 617-bis e 617-quater c.p. a lui ascritti, in quanto la consulenza del Pm “non era stata in grado di stabilire a quanto tempo prima risalisse la installazione e da quanto tempo venisse attuata l’illecita captazione” per cui l’installazione del programma informatico poteva essere avvenuta anche prima della crisi coniugale al solo scopo di controllare e tutelare la figlia minorenne.

Con il terzo motivo lamenta il mancato assorbimento dei reati di cui agli artt. 616 e 617-bis c.p. nel delitto previsto dall’art. 617-quater c.p. sostenendo che “poiché la corrispondenza informatica è tale se viene inoltrata e ricevuta per mezzo di un sistema informatico, la Corte di appello ha violato l’art. 15 c.p. poiché il bene giuridico tutelato dagli artt. 616, 617-bis e 617-quater c.p. era il medesimo ed identico era l’oggetto delle varie norme, che regolavano la stessa materia.”

 

Nessun reato se le email intercettate vengono prodotte in giudizio

La Cassazione con la sentenza n. 30735/2020 annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui all’art. 616 c.p. perché il fatto non sussiste e la annulla senza rinvio relativamente agli altri reati perché estinti per prescrizione. Il ricorso del ricorrente, a giudizio della Cassazione, è infatti fondato.

Prima di tutto la Corte precisa come in effetti il delitto di divulgazione di corrispondenza di cui all’art. 616 c.p., commi 1 e 4 non sussiste, perché nell’art. 616 c.p. il termine corrispondenza fa riferimento alla “comunicazione umana nel suo profilo ‘statico’ e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale, come si ricava anche in questo caso dai termini impiegati per descrivere le altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere).”

Non si configura neppure il reato contemplato dall’art. 617-quater c.p., comma 2 “che punisce la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata, poiché a tal fine è necessario che la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata avvenga mediante – qualsiasi mezzo d’informazione al pubblico-, mentre nel caso di specie la divulgazione è avvenuta mediante la produzione delle e-mail in un giudizio di separazione personale dei coniugi pendente tra l’imputato e la persona offesa, modalità che è inidonea a rivelare il contenuto della comunicazione alla generalità dei terzi.”

Fondato anche il secondo motivo di ricorso, perché i reati contemplati dagli artt. 617-bis e 617-quater c.p. “richiedono entrambi che le condotte in essi descritte siano attuate ‘fraudolentemente’, ossia con modalità tali da rendere non percettibile o riconoscibili le condotte stesse, che avvengono all’insaputa del soggetto che è parte della comunicazione; se l’agente ha reso manifesta la volontà di installare lo strumento che consente di intercettare la comunicazione e quindi di procedere all’intercettazione delle comunicazioni, prima che l’azione sia posta in essere, il reato è escluso.” Nel caso di specie la moglie era perfettamente a conoscenza dell’installazione del programma keylogger perché messa in atto di comune accordo con il marito da tempo per evitare che la figlia, per età, incorresse in situazioni pericolose sul web.

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