In tema di responsabilità medica da interventi di chirurgia estetica, il danno differenziale deriva dalla comparazione fra il risultato effettivamente ottenuto e l’efficienza estetica che il paziente avrebbe conseguito in caso di intervento ben eseguito

In tema di responsabilità medica da interventi di chirurgia estetica, il danno differenziale deriva dalla comparazione fra il risultato effettivamente ottenuto e l’efficienza estetica che il paziente avrebbe conseguito in caso di intervento ben eseguito

Intervento chirurgico di rimozione del neo

Il caso in esame vede protagonista una giovane donna che, all’epoca dei fatti era minorenne, la quale aveva adito le vie legali per ottenere il risarcimento del danno patito a seguito di un intervento di chirurgia estetica non andato a buon fine.

In particolare, la danneggiata aveva adito il Tribunale di Rieti chiedendo il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, comprensivi anche del danno morale, oltre alle somme dovute per interventi migliorativi, nonché “il danno da mancato consenso informato da liquidarsi in via equitativa tenuto conto della prestazione posta in essere e delle carenze sopra dedotte”.

La suddetta richiesta era fondata sui fatti avvenuti il 24.05.2016, data in cui, dopo varie sedute laser, l’attrice si era sottoposta ad un intervento chirurgico eseguito presso lo studio del medico convenuto, per la rimozione di un neo sul volto e dei peli che ne ricoprivano la superficie. A distanza di circa un mese dall’operazione, tuttavia, l’attrice lamentava che la ferita presentava “un buco profondo circa 0,5 cm e non poteva essere chiusa con punti di sutura. In seguito alla chiusura naturale della cicatrice, tuttavia, si formava un cheloide rosso, ove ricrebbero anche i peli”, tanto che a metà settembre il medico aveva informato la paziente che sarebbe stato necessario un nuovo intervento chirurgico.

Esiti della CTU in sede di accertamento tecnico preventivo

Posta la suddetta situazione, l’attrice procedeva ad attivare l’a.t.p., all’esito del quale il CTU aveva ritenuta integrata, oltre alla lesione fisica a carico della paziente, anche la lesione della sua sfera psicologica, riscontrando un “disturbo di adattamento cronico a sintomi misti di grado grave con sindrome ansioso – depressiva e deflessione del tono dell’umore. Tali circostanze, a giudizio del consulente tecnico, erano addebitabili ad una condotta sanitaria non conforme alle metodiche medico- chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza applicata per interventi di questo genere.

 

Personalizzazione del danno e lesione del diritto all’autodeterminazione

Il Tribunale di Rieti, con sentenza n. 525/2023 (sotto allegata), dopo aver ripercorso i fatti di causa e riportato gli esiti cui era giunto il CTU, ha accolto le richieste risarcitorie formulate dalla paziente nei termini che seguono.

Il Giudice ha in primo luogo ricordato che “in materia di responsabilità medica da interventi di chirurgia estetica, il danno differenziale deriva dalla comparazione fra il risultato effettivamente ottenuto e l’efficienza estetica che il paziente, data la condizione preesistente, avrebbe conseguito in caso di intervento ben eseguito e ben riuscito”.

Posto tale principio di carattere generale, il Giudice di prime cure è passato all’esame delle richieste risarcitorie riguardanti le voci di danno morale/esistenziale, richiamando a tal riguardo la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale le tabelle già contengono la quantificazione delle conseguenze “ordinarie”, previste e compensate dalla forfetizzazione del danno non patrimoniale. Pertanto, ai fini della invocata personalizzazione della lesione e tenuto conto del principio di omnicomprensività del danno non patrimoniale “non basta allegare all’apprezzamento del giudice circostanze solo asseritamente personalizzate e genericamente individuate (…), essendo al contrario necessario procedere ad una articolazione analitica di dette voci, attraverso l’inerenza di esse alla persona ed alla sua esperienza di vita – altrimenti versandosi in una ipotesi di inammissibile duplicazione risarcitoria”.

Sulla scorta di tale interpretazione, il Tribunale ha ritenuto che, nel caso di specie l’articolazione “analitica delle voci di personalizzazione del danno sotto il profilo interiore e relazionale” era stata correttamente svolta dall’attrice.

Infine, quanto alla richiesta di risarcimento del danno all’autodeterminazione, per non aver la paziente esercitato un consenso informato, il Tribunale ha ritenuto che “nulla può essere riconosciuto a titolo di lesione del diritto all’autodeterminazione, per non essere stata la paziente informata in ordine ai possibili esiti ed ai rischi dell’intervento. In primo luogo, infatti, dall’istruttoria orale è emerso come il (medico) abbia acquisito il consenso dei genitori della paziente, allora minorenne, in forma verbale (..). In secondo luogo, si osserva che nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente, ove l’intervento abbia cagionato danno alla salute con colpa del sanitario, intanto può trovare riconoscimento il diritto al risarcimento (..) della lesione del diritto alla autodeterminazione, in quanto il paziente dimostri che non si sarebbe sottoposto all’intervento se correttamente informato, non potendosi configurare, ipso facto, un danno risarcibile con riferimento alla sola omessa informazione, attesa l’impredicabilità di danni in re ipsa nell’attuale sistema della responsabilità civile”.

Nel caso di specie, il Giudice di primo grado non ha ritenuto raggiunta la prova in ordine alla lesione del diritto all’autodeterminazione, poiché la parte attrice si era limitata a denunciare la mancata acquisizione del consenso, senza allegare o provare che “se la paziente fosse stata correttamente informata non si sarebbe sottoposta all’intervento né ha allegato alcun danno-conseguenza derivante dalla violazione del proprio diritto all’autodeterminazione”.

Fonte internet

 

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