Insulti e offese sui social network: quando scatta il reato tra marito e moglie? Le critiche, anche se aspre, sono legittime? IDFOX Agenzia Investigativa Milano

Critiche all’ex moglie su Facebook: è diffamazione?

Insulti e offese sui social network: quando scatta il reato tra marito e moglie? Le critiche, anche se aspre, sono legittime?

Basta poco per commettere una diffamazione: è sufficiente screditare la reputazione di una persona, senza nemmeno che ci sia bisogno di utilizzare insulti o parole particolarmente offensive. Può essere sufficiente perfino una semplice allusione o una velata insinuazione: se la vittima è riconoscibile, può scattare la querela. Con il presente articolo ci soffermeremo su una questione in particolare: le critiche all’ex moglie fatte su Facebook costituiscono diffamazione? Vediamo cosa ne pensa la giurisprudenza.

 

 

Indice

* Insulti all’ex coniuge: quando c’è diffamazione?

* Le critiche all’ex coniuge costituiscono diffamazione?

* Quando c’è diritto di critica e non diffamazione?

Insulti all’ex coniuge: quando c’è diffamazione?

Ogni espressione capace di ledere la considerazione che gli altri hanno della vittima è idonea a far scattare il reato di diffamazione.

Pertanto, dare del «parassita» o della «mantenuta» a una donna che percepisce l’assegno di mantenimento dall’ex marito è diffamazione.

Se la frase viene poi pubblicata su Facebook o su un altro social network scatta una condanna per diffamazione aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità.

Quali altre frasi rientrano nella diffamazione? In caso di generiche critiche all’ex moglie su Facebook c’è diffamazione?

Le critiche all’ex coniuge costituiscono diffamazione?

La Suprema Corte [1] ricorda che, ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione, da un lato non è sufficiente il fatto di utilizzare toni forti e sprezzanti, ma dall’altro non è neanche necessario usare parolacce e insulti.

Tutto ciò che è richiesto per la diffamazione è che vi sia un attacco personale gratuito, che possa ledere l’integrità morale o professionale della vittima.

Ragion per cui, in caso di contestazioni tra ex o tra rivali in amore, è normale avere un atteggiamento più aspro, senza perciò ricadere necessariamente nella diffamazione.

Come dire: il contesto può assumere un significato tale da giustificare un atteggiamento aggressivo e quindi “legalizzare” espressioni tutt’altro che soft.

Nel caso di specie, la Suprema Corte si è trovata a decidere sul ricorso presentato da una donna che aveva querelato la nuova compagna del suo ex marito.

Quest’ultima infatti aveva pubblicato sul proprio profilo Facebook espressioni offensive come «Vai a lavorare invece di farti mantenere».

Tuttavia, nonostante l’accertamento della condotta, il giudice ha ritenuto di non dover condannare l’autrice dei post in quanto le espressioni erano state ritenute comunque, seppur sferzanti, lecite.

Per gli ermellini, le espressioni adoperate non appaiono superare il limite della pacatezza (la cosiddetta «continenza»), mantenendosi nell’ambito di una critica che esprime il proprio risentimento e la propria censura per la pretesa di mantenere l’assegno di mantenimento già stabilito, accolta peraltro poi dal giudice.

Si tratta di una polemica, pur attuata con toni aspri, ironici e sferzanti, ma che non trascende nell’attacco personale gratuito e che appare pertinente rispetto alla lite in atto circa l’entità dell’importo dell’assegno di mantenimento.

I commenti si inserivano quindi in un contesto dialettico già in essere tra le parti, tanto che la persona offesa aveva utilizzato proprio dei post di Facebook per provare il tenore di vita dell’ex coniuge e della nuova compagna.

Quando c’è diritto di critica e non diffamazione?

Ai fini della valutazione della sussistenza dell’esercizio del diritto di critica – dice la Corte – si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’imputato, pur se apri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti e immotivatamente aggressivi dell’altrui reputazione, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere [2].

 

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