Investigatore privato_Chat WhatsApp come prova di un contratto

Le messaggerie possono essere utilizzate per dimostrare un accordo e le clausole di un contratto. Basta lo screenshot della chat di WhatsApp.

 

Potrebbe succedere di concludere un accordo commerciale tramite WhatsApp. Per il nostro ordinamento infatti i contratti non devono assumere una forma particolare ad eccezione di isolate ipotesi (si pensi all’atto scritto richiesto per i contratti bancari e al rogito notarile per i trasferimenti immobiliari).

 

In generale, anche l’accordo verbale può essere sufficiente a siglare un affare: la tradizionale stretta di mano non vale meno di una scrittura privata. Lo scritto resta comunque preferibile: “carta canta” si dice comunemente poiché non lascia equivoci circa il contenuto degli accordi e risulta difficilmente contestabile in un eventuale processo.

Ma se è vero che ormai ci si parla prevalentemente tramite chat e che la più usata è quella di WhatsApp, è anche vero che l’app di messaggistica viene impiegata anche per scambi di natura commerciale ed accordi economici di vario tipo. Un ordine, un prestito, una promessa di assunzione, una donazione: molti di questi impegni vengono assunti mediante messaggi testuali o audio. Ecco che allora ci si potrà chiedere, nel caso in cui una delle due parti dovesse venire meno agli accordi presi, se si può usare la chat WhatsApp come prova di un contratto. Sul punto, ha fornito un utile chiarimento il tribunale di Milano.

 

Ecco dunque alcune importanti informazioni sul tema: che valore legale ha uno scambio di messaggi su WhatsApp? Gli screenshot possono essere utilizzati come prova in un eventuale processo? Vediamo.

 

La chat di WhatsApp ha valore di prova

Sempre più giudici stanno attribuendo valore di prova alla chat WhatsApp. E questo succede tanto nel processo penale quanto in quello civile. È proprio in quest’ultimo però che si può maggiormente apprezzare la svolta interpretativa. Questo perché il Codice civile è improntato al principio di «tipicità dei mezzi di prova», secondo cui, nelle cause di natura civilistica, possono essere introdotte e utilizzate in modo esclusivo solo le prove previste e disciplinate dal legislatore. E sicuramente, nella mente di chi ha scritto il Codice civile nel 1942, non c’era ancora WhatsApp.

Nonostante questa rigida interpretazione, durata per decenni, le chat sullo smartphone o sul computer stanno acquistando sempre più peso al fine di rivendicare i propri diritti e dimostrare comportamenti illeciti.

La Cassazione ha spiegato che l’acquisizione di tali dialoghi può avvenire anche senza la necessità di consegnare lo smartphone al giudice affinché lo acquisisca agli atti: è sufficiente lo screenshot. E se poi la chat contiene dei messaggi audio si può sempre procedere alla trascrizione del loro contenuto.

 

La chat di WhatsApp può valere come prova di un contratto?

Laddove la legge non impone particolari forme al contratto, ben potrebbe essere che l’accordo stretto tramite WhatsApp sia sufficiente a dimostrare il raggiungimento dell’accordo tra le parti e quindi la nascita delle relative obbligazioni.

Si pensi al caso di un agente immobiliare che abbia ricevuto, tramite un messaggio su WhatsApp, l’incarico a vendere un appartamento e che, dopo aver trovato l’acquirente, esiga la provvigione: il suo diritto potrà ben essere fatto valere in giudizio nel caso in cui dovesse ottenere il pagamento.

Ma si pensi anche a un prestito documentato da uno scambio di messaggi sul cellulare o ad un ordine, una prenotazione e così via.

Secondo il tribunale di Milano, fa fede la chat e le intese che da essa traspaiono. E se poi una delle parti dovesse eccepire che gli accordi sono stati modificati o integrati verbalmente dovrà dimostrarlo: nel frattempo, la chat di WhatsApp assume valore di prova nonostante il Codice civile non la contempli.

 

Un esempio: quando la chat di WhatsApp può dimostrare un contratto

La vicenda analizzata dal tribunale di Milano è esemplificativa. Una persona contattava un agente di commercio affinché vendesse un appartamento e un posto auto. Lo faceva tramite WhatsApp. Nella chat gli prometteva una provvigione pari all’1% solo se il prezzo spuntato con l’acquirente sarebbe stato superiore a 590.000 euro e allo 0,5% sopra i 585.000. Al di sotto di tale corrispettivo non avrebbe riconosciuto alcun compenso atteso che un vicino di casa era pronto ad offrirgli fino a 580.000 euro senza spese di mediazione.

All’offerta formulata su WhatsApp il titolare dell’agenzia rispondeva inequivocabilmente «va bene». Ciò nonostante, lo stesso agiva poi nel confronti del proprietario con un decreto ingiuntivo per chiedere il pagamento di una provvigione superiore. Gli screenshot della conversazione sono stati così depositati agli atti del processo e il mediatore non ha disconosciuto né la provenienza né il contenuto degli stessi. Pertanto, il giudice ha ritenuto che vi fosse la prova scritta delle condizioni contrattuali siglate tra le parti.

 

Clausole contrattuali contenute in una chat: sono valide

La vicenda lascia chiaramente intendere come le clausole di un contratto non debbano necessariamente essere formulate in un documento – la classica scrittura privata – se di esse vi è sufficiente e chiara traccia nella chat di WhatsApp: questa rappresenta già una prova che può essere utilizzata in processo nel caso di inadempimento di una delle parti.

È chiaro però che il testo dei messaggi deve essere quanto più preciso possibile e non lasciare spazio ad alcun dubbio interpretativo o spazio vuoto. Diversamente – in mancanza di prove circa una specifica volontà delle parti – si applicheranno le norme generali del contratto previste dal Codice civile.

 

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