L’ex moglie che non intende lavorare ha diritto al mantenimento?

L’ex moglie che non intende lavorare ha diritto al mantenimento?

Gli alimenti non durano per sempre: ecco tutti i casi in cui il mantenimento può essere revocato.

Fino a quando dura l’assegno di mantenimento? È una domanda che si pone spesso all’indomani del divorzio. Tendenzialmente tale misura potrebbe durare fino al decesso del beneficiario, ma non sempre. I presupposti per il diritto all’assegno potrebbero venir meno in due casi. Il primo è a seguito di un mutamento consistente nelle condizioni economiche di uno dei due coniugi. Il secondo è quando il beneficiario resta inerte, non si dà cioè da fare – pur avendone le possibilità – per rendersi autonomo. Cerchiamo di comprendere allora se e quando l’ex moglie che non intende lavorare ha diritto al mantenimento. Lo faremo alla luce di una recente giurisprudenza che si sta via via affermando nelle aule dei nostri tribunali. Ma procediamo con ordine.

Indice

* Cause per chiedere la revoca del mantenimento: la nuova convivenza

* Cause per chiedere la revoca del mantenimento: il mutamento delle condizioni economiche

* Cause per chiedere la revoca del mantenimento: l’inattività

Cause per chiedere la revoca del mantenimento: la nuova convivenza

La prima ipotesi che determina il venir meno del mantenimento è l’inizio di una stabile convivenza, da parte del beneficiario, con un nuovo partner. Non è necessario che questa convivenza sia fondata sul matrimonio, potendo anche trattarsi di un’unione di fatto.

La Cassazione ha precisato due aspetti molto importanti.

Il primo: non qualsiasi convivenza fa cessare il diritto agli alimenti. Deve essere una unione duratura (quindi che si protrae già da diverso tempo), basata sugli stessi presupposti del matrimonio (reciproca assistenza e solidarietà). Il tutto si traduce in una serie di indici come, ad esempio, il mutamento della residenza, la partecipazione alle spese comuni, ecc.

Il secondo aspetto è più recente: anche dinanzi a una stabile convivenza, la moglie che ha ancora problemi economici e che ha perso ogni potenzialità lavorativa a causa del precedente matrimonio, per essersi dedicata alla casa e aver sacrificato la carriera, continua ad avere diritto al mantenimento.

Cause per chiedere la revoca del mantenimento: il mutamento delle condizioni economiche

Il secondo caso tipico in cui l’assegno di divorzio viene meno è quando le condizioni di uno dei due ex coniugi mutino in modo concreto. Il che coincide:

* con un impoverimento del soggetto obbligato;

* con un arricchimento del soggetto beneficiario.

Il primo caso potrebbe derivare da pensionamento, inabilità, licenziamento, ecc.

Il secondo potrebbe invece conseguire da un’assunzione, una promozione, un aumento dell’orario lavorativo, ecc.

In tutti questi casi, però, non basta il fatto in sé per cessare il versamento dell’assegno: bisogna sempre rivolgersi prima al giudice affinché modifichi la precedente sentenza con cui aveva disposto le condizioni di divorzio.

Cause per chiedere la revoca del mantenimento: l’inattività

Di norma, il giudice non riconosce l’assegno di divorzio all’ex coniuge (ad esempio la moglie) che, seppur disoccupato, ha una potenzialità reddituale ossia che può, alla luce dell’età, della formazione e delle pregresse esperienze, trovare un posto e rendersi autonomo.

Ciò nonostante potrebbe anche sussistere ancora qualche giudice che, nonostante ciò, attribuisca il diritto all’assegno al richiedente che è ancora giovane, in salute e potenzialmente occupabile. Questo però non gli consente di restare “in panciolle” e godersi “un’assicurazione a vita”.

In una recente sentenza emessa dal Tribunale di Campobasso il 29 gennaio 2024, si sottolinea un principio fondamentale nel contesto dei rapporti post-matrimoniali: ogni ex coniuge deve raggiungere, quando possibile, l’autonomia finanziaria. La decisione ha riguardato una donna che, dopo alcuni anni dalla pronuncia del divorzio, si è vista revocare il mantenimento per non aver dimostrato di essersi impegnata attivamente nella ricerca di un lavoro. Secondo infatti i giudici, chi riceve questo tipo di sostegno finanziario, ha la responsabilità – se ancora ha in sé una potenzialità reddituale – di cercare di migliorare la propria situazione economica. Ciò significa mettersi alla ricerca di un’occupazione che possa garantire una fonte di reddito indipendente e quindi l’autosufficienza dall’ex.

La sentenza evidenzia l’importanza di non rimanere in una condizione di stallo e inerzia, soprattutto se non vi sono ragioni valide, come gravi malattie, età avanzata o altri impedimenti che giustifichino l’assenza da un contesto lavorativo. Ci si può attendere che la persona interessata si impegni, quanto meno, nella ricerca di un impiego part-time che possa assicurare entrate mensili.

Insomma, l’assetto deciso dal giudice con la sentenza di divorzio non può essere considerato definitivo, soprattutto se il coniuge beneficiario dell’assegno ha ancora la possibilità di impiegarsi.

Nella sentenza si spiega che «l’ex coniuge che percepisce già da tempo l’assegno di divorzio e, ancor prima, ha percepito l’assegno di mantenimento, ha il dovere di attivarsi fattivamente per migliorare la sua condizione economico-reddituale. Non si può ammettere una situazione di ingiustificata ed indefinita inerzia in tal senso, a maggior ragione se sono trascorsi ormai molti anni dalla pronuncia di divorzio e se la richiedente è in età da lavoro e priva di patologie o impedimenti a cercare una attività – quantomeno part-time – che le garantisca un’entrata mensile».

 

 

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