È violenza sessuale se lei sta in silenzio e non reagisce? Se la vittima è paralizzata e non manifesta alcun dissenso al rapporto si può essere denunciati per stupro?

È violenza sessuale se lei sta in silenzio e non reagisce?

Se la vittima è paralizzata e non manifesta alcun dissenso al rapporto si può essere denunciati per stupro?

Secondo la giurisprudenza, la violenza sessuale richiede sempre una manifestazione esteriore di dissenso da parte della vittima: anche un semplice «no», seppure privo di opposizione fisica è sufficiente per far scattare il reato. E ciò a garanzia del reo che potrebbe altrimenti cadere nell’equivoco di ritenere che un comportamento silenzioso possa essere segno di accondiscendenza. In linea però con alcuni studi psicologici – che dimostrano come, dinanzi a situazioni di estrema difficoltà e pericolo, la vittima possa paralizzarsi e non avere alcuna reazione – la Cassazione ha mitigato tale affermazione (sentenza 13222, sezione Terza del 02.04.2024). Cerchiamo di comprendere il principio che sta alla base di tale pronuncia partendo da un interrogativo: è violenza sessuale se lei sta in silenzio e non reagisce, se non parla e non dice nulla, ma solo dopo sporge la querela?

 

 

Indice

* Che significa “vis grata puellae”?

* Il dissenso deve essere esplicito?

* Se la vittima non reagisce è stupro?

* Qual è la prova della violenza sessuale?

Che significa “vis grata puellae”?

Vis grata puellae è una locuzione latina che letteralmente significa “la violenza è gradita alla fanciulla“.  Tuttavia, l’espressione ha un significato più profondo e viene usata in due modi principali.

In origine, l’espressione era utilizzata per giustificare un atteggiamento di corteggiamento aggressivo nei confronti di una donna. Si basava sull’idea, ormai superata, che le donne nascondessero in realtà un desiderio di essere dominate e che una certa dose di “violenza” (nel senso di insistenza o avance pressanti) fosse gradita.

 

 

Purtroppo, in passato, vis grata puellae veniva usata anche in ambito giuridico per giustificare una sorta di attenuante per lo stupro. Si sosteneva che la presunta resistenza della donna non fosse reale, ma un gioco di ruolo in cui, in fondo, lei desiderava la violenza.

Oggi l’espressione è considerata sessista e obsoleta.

Il consenso in una relazione sessuale deve essere sempre libero, consapevole e non ottenuto con coercizione o violenza. Non solo: esso deve sussistere dal primo all’ultimo momento del rapporto. Sicché, se la donna dovesse avere un ripensamento proprio durante l’unione, l’uomo sarebbe tenuto a interrompere ogni tipo di azione.

Detto ciò, vediamo piuttosto come fa il partner a comprendere che “la donna non ci sta” e che il suo comportamento è sintomo di un dissenso.

Il dissenso deve essere esplicito?

Il presunto stupratore deve saper cogliere i dettagli del dissenso dal comportamento complessivo della vittima.

 

 

Ad esempio, in passato si è ritenuto colpevole di violenza sessuale un giovane che aveva condotto una ragazza, all’interno della propria auto, in un luogo deserto nonostante la sua contraria volontà. Giunta sul posto però, la ragazza non si era sottratta all’atto sessuale temendo una violenza ancora più feroce, in un posto ove nessuno avrebbe potuto soccorrerla.

Con la nuova sentenza, la Cassazione abbraccia una concezione ancora più ampia di dissenso.

Se la vittima non reagisce è stupro?

Secondo la Cassazione, è stupro anche se la vittima non reagisce, a patto che abbia manifestato espressamente il proprio dissenso. Alla donna basta dire “no, non voglio”. Non rileva l’apparente contraddizione tra le parole e il comportamento.

La circostanza che lei non abbia frapposto resistenza non deve essere interpretata come una forma di falso pudore, solo per non essere giudicata, quasi fosse una recondita volontà al rapporto.

Il semplice rifiuto verbale ai rapporti sessuali, se manifestato espressamente dalla vittima, è sufficiente per il reato: l’assenza di resistenza  non può essere una giustificazione per l’imputato che dichiari di aver scambiato il suo comportamento come ritrosia meramente formale e “di facciata”. Altro che «la violenza è gradita alla fanciulla»!

Peraltro il fatto di poter fuggire non vuol dire che lei ci stia. Al contrario, l’assenza di una reazione potrebbe derivare dall’essere atterrita e “pietrificata” dinanzi a un atto che non vuole.

La giurisprudenza moderna riconosce che la reazione di una vittima di violenza sessuale può variare ampiamente a causa dello shock e della paura.

Il caso in questione riguardava una giovane donna che, dopo una serata in discoteca, aveva accettato un passaggio da un uomo conosciuto sul posto. L’uomo, secondo il racconto della vittima, l’aveva poi violentata. Nonostante la mancanza di una reazione fisica da parte della donna, il Tribunale di primo grado aveva condannato l’imputato, interpretando il suo comportamento come un segno di non consenso.

La sentenza della Cassazione sottolinea come lo sgomento possa paralizzare la vittima, rendendola incapace di reagire o fuggire. La Corte d’appello aveva precedentemente messo in dubbio la credibilità della vittima proprio per la sua mancata fuga, non considerando però che lo stato di shock e terrore può sopraffare il desiderio e la capacità di reagire.

Qual è la prova della violenza sessuale?

Trattandosi di un reato che si consuma “a due”, il giudice può dare valore probatorio alle sole dichiarazioni della vittima che, pertanto, diventano prova sufficiente della colpevolezza dell’imputato. In pratica, basta la semplice ricostruzione della vicenda fatta dalla parte lesa, se appare di per sé attendibile e non contraddetta da ulteriori

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