Ho firmato un contratto che non ho capito: posso recedere? Agenzia investigazioni IDFOX Milano

Ho firmato un contratto che non ho capito: posso recedere?

Contratto non compreso: è possibile il recesso? Quali tutele per chi non è esperto?

Firmare un contratto senza averne piena comprensione di ciò che vi è scritto può portare a conseguenze indesiderate e a obblighi che non si era previsto di assumere. In questo articolo vedremo se è possibile recedere da un contratto che non si è capito, fornendo una guida chiara su cosa fare in queste situazioni e sulle tutele che la legge appresta nei confronti delle persone meno esperte. Attraverso un linguaggio semplice e accessibile, vedremo quali sono i passaggi da seguire e i diritti a disposizione del consumatore.

 

 

Indice

* Che valore ha un contratto?

* Recesso per errore

* Posso recedere da un contratto che non ho capito?

o La comune intenzione delle parti

o La tutela del consumatore

* Il diritto di recesso

* Ci sono eccezioni al diritto di recesso?

Che valore ha un contratto?

Un contratto ha il valore di una legge tra le parti che lo hanno sottoscritto. È cioè vincolante e non lo si può violare.

Si può tutt’al più contestare l’autenticità della firma, ma solo se apposta in assenza di notaio; spetterà alla controparte dimostrare la genuinità della stessa attraverso una comparazione con gli atti in precedenza sottoscritti dallo stesso soggetto mediante perizia calligrafica. Viceversa, dinanzi a un atto pubblico (ossia redatto dinanzi al notaio o altro pubblico ufficiale) la firma si presume sempre autentica salvo prova contraria (che dovrebbe fornire chi ne assume la falsità).

 

 

Un altro modo per contestare un contratto consiste nel fatto di averlo stipulato sotto violenza (una coercizione fisica o psicologica), in stato di incapacità di intendere e volere (ad esempio perché soggetto a droghe, farmaci o patologie) o per un raggiro posto dalla controparte in modo doloso.

Recesso per errore

Eccezionalmente è possibile chiedere l’annullamento del contratto (e quindi recedere da esso) se c’è stato un errore nel momento in cui si è formata la volontà e quindi lo si è firmato.

Esistono due tipi di errore:

* errore sulla dichiarazione del contraente (cosiddetto errore ostativo) determinata da distrazione o ignoranza: in questo caso la volontà contrattuale si è formata correttamente, ma per errore è stata manifestata all’altro contraente in modo sbagliato. Ad esempio, è il caso di chi, indicando la quantità di merce che vuole ordinare, scrive 100 anziché 10 oppure, conoscendo poco la lingua straniera nella quale le trattative si svolgono, dichiara di voler comprare oggetti diversi da quelli che realmente desidera.;

* errore sulle circostanze che determinano la formazione della volontà contrattuale (cosiddetto errore vizio). È l’errore che si riscontra nel caso di chi accetta di acquistare un gioiello, credendolo d’oro, mentre in realtà è di ottone. In questo caso non vi è errore sulla dichiarazione, ma proprio sul processo di formazione della volontà.

L’errore consente di annullare il contratto (entro cinque anni dalla scoperta) solo se è “essenziale” ossia se ricorrono questi due presupposti:

* deve ricadere sulla natura o sull’oggetto del contratto, sull’identità o sulla qualità della prestazione o dell’altro contraente, sulla disciplina legale alla quale è sottoposto il contratto;

* deve essere tale da determinare la parte a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso.

Posso recedere da un contratto che non ho capito?

Abbiamo detto che il contratto è come una legge tra le parti. E, come noto, la legge non ammette ignoranza. Sicché chi non legge il contratto o non ne capisce il contenuto è tenuto a informarsi prima di firmarlo. Diversamente se ne assume tutte le conseguenze.

Eccezionalmente però la legge ammette una tutela per i casi di contratti scritti in modo ostico, ambiguo o tendenzioso. Difatti, in tali casi, la legge fissa delle regole di interpretazione del contratto che possono accordare una tutela alla parte più “ignorante”. Ecco alcuni dei punti più salienti di tale disciplina.

La comune intenzione delle parti

Nell’interpretare il contratto, oltre al senso letterale delle parole, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, valutando il comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto, nonché gli interessi che ciascuna parte ha inteso perseguire con la conclusione del contratto.

Il primo strumento di interpretazione è costituito dal senso letterale delle parole e delle espressioni del contratto. Quando le parole sono chiare, precise e univoche e dimostrano con chiarezza la volontà comune dei contraenti il giudice deve ritenere esaurita l’operazione di interpretazione.

Ma la volontà contrattuale deve essere interpretata secondo buona fede cioè con lealtà e correttezza durante lo svolgimento del rapporto contrattuale.

Le clausole ambigue relative ad un contratto tipico di un determinato ambiente socio-economico si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso.

In particolare se una delle parti è un imprenditore, si interpretano secondo la pratica del luogo in cui è ubicata la sede dell’impresa.

La tutela del consumatore

La legge tutela i consumatori che si trovano a firmare contratti senza averne compreso appieno il contenuto, soprattutto se questo è dovuto a formulazioni complesse o ingannevoli. In determinate circostanze, è possibile recedere da un contratto, soprattutto se si dimostra che c’è stata mancanza di trasparenza o informazione da parte dell’altra parte contraente.

Difatti, in base al codice civile (art. 1370 cod. civ.), le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, nel senso più favorevole all’altro.

Tale regola dell’interpretazione “contro” il predisponente-autore della clausola pone a carico di quest’ultimo l’onere di evitare ambiguità nel testo del contratto.

Questa regola interpretativa prevale su quella relativa all’interpretazione delle clausole ambigue che abbiamo visto prima.

Il diritto di recesso

Se il contratto è stato stipulato fuori dai locali commerciali (ossia dai negozi) come ad esempio nei contratti su internet è possibile esercitare il diritto di recesso, senza neanche dover motivarne le ragioni. Il consumatore ha diritto a 14 giorni di tempo per manifestare la sua intenzione di recedere.

Per esercitare il diritto di recesso, è necessario inviare una comunicazione scritta alla controparte, preferibilmente tramite raccomandata A/R o posta elettronica certificata, per avere una prova dell’invio e della ricezione. È importante verificare i termini specifici previsti dal contratto o dalla legge per non superare la finestra temporale consentita per il recesso.

Una volta esercitato il diritto di recesso, entrambe le parti sono sollevate dagli obblighi previsti dal contratto. Eventuali somme già versate dovrebbero essere rimborsate entro un termine stabilito dalla legge, che di solito è di 14 giorni dal momento in cui la parte contraente riceve la comunicazione di recesso.

Ci sono eccezioni al diritto di recesso?

Sì, esistono alcune eccezioni. Ad esempio, il diritto di recesso non è applicabile per la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati, per beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente, per servizi di alloggio, trasporto, ristorazione, o per contenuti digitali forniti su supporti non materiali se l’esecuzione è iniziata con l’accordo esplicito del consumatore e con l’accettazione della perdita del diritto di recesso.

 

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